“Ti ho vista mentre ti nascondevi. Sei stata veloce e furba, ma ti ho vista e non ti darò tregua, puoi starne certa. Rimani lì buona buona, mentre vado a prendere la mia arma. Tornerò fra un secondo. Sai che non ti voglio lasciare qui tutta sola. Potresti avere paura e io non lo voglio, lo sai vero? Eccomi di nuovo qui, sono stato veloce come un lampo, contenta? Adesso con il manico di questa scopa ti schiaccerò, ma solo un pochino, appena quel tanto che basta per mandarti al creatore, brutta scolopendra assassina. Accidenti, questa fessura è troppo stretta, non riesco a stanarti, bruttissima figlia di buona donna. Ti sei nascosta bene, eh? Accidenti a me, non ho nemmeno un po’ di sanissimo veleno per insetti in dispensa e oggi è domenica, tutto chiuso in questo paese di morti viventi. Ti piace la casetta che ti sei appena trovata? Forse non è giusto portarti via da lì. E che diamine, non voglio certo farti credere che io sia un padrone di casa inospitale. Va bene, puoi rimanerci pure e ci puoi stare per tutta la vita. Sì, sì, proprio così e non ti chiederò nemmeno l’affitto. Sono proprio un bravo ragazzo, vero? Scusa ma ti devo proprio lasciare ancora un attimo da sola, rimani pure lì comoda, non disturbarti a gironzolare che intanto non c’è nulla di interessante da vedere qui in giro. Io così vado in dispensa, prendo un po’ di stucco e chiudo quella fessura che ti fa entrare in casa tutto quel freddo, poverina!
Brutta cattivella, dove te ne sei andata? Perché non sei rimasta nella tua casetta al calduccio? Dai fatti vedere che ti voglio accarezzare, non fare la timida con me. Accidenti, ti ho cercata tutto il santissimo giorno, ma niente. Ti sei vaporizzata! Ma ci sei ancora? Sei ancora qui? Basta, per quanto tu mi stia simpatica non meriti tanta attenzione. Io sono stanco e me ne vado a dormire, mi raccomando, se sei ancora in bagno, vedi di startene lì buona buona e cerca di non venirmi a trovare in camera da letto. Sai, ho una ragazza molto gelosa e se venisse a sapere che dormiamo nella stessa stanza la prenderebbe a male, davvero! Non so proprio cosa ci potrebbe fare, mi vengono i brividi al solo pensarci. Buona notte.”
Spense la luce e in breve tempo si mise a sognare. Nel sogno si ritrovò proiettato indietro nel tempo, all’epoca di quel maledetto episodio che cinque anni prima segnò il suo destino irrimediabilmente. Si rivide appena diciottenne mentre tornava a casa insieme alla sua prima fidanzata, Gloria, di sette anni più matura di lui. Era stato un vero colpaccio. Nessuno dei suoi amici credeva che potesse riuscire nell’impresa di uscire con una ragazza così carina e, per giunta, esperta. Loro lo consideravano uno sfigatello. Per la verità non era brutto, era alto, magro, non aveva difetti fisici evidenti, ma era anche vero che non aveva nessuna di quelle qualità che piacciono particolarmente alle ragazze. Insomma non era brutto ma nemmeno bello. Un tipo del tutto ordinario che non si faceva notare. Ma quell’inaspettato successo lo aveva messo, agli occhi dei suoi amici, sotto una luce diversa. Non era più l’insipido Giulio, ma era Giulio il ragazzo che andava a letto con Gloria, la cameriera più sexy del Trocadero.
Erano ormai quattro mesi che uscivano assieme e voleva farla conoscere a suo padre. Era sicuro che avrebbe cambiato faccia appena lo avesse visto varcare la soglia di casa con quel meraviglioso esemplare di femmina procace. Chissà cosa gli avrebbe detto! Era curioso e divertito allo stesso tempo e lo confessò ingenuamente alla sua compagna, che rise maliziosamente. Girò la chiave nella toppa della porta ed entrò. Suo padre era in sala e stava guardando la solita trasmissione sportiva. Poteva stare a guardare quella roba insulsa per tutta la sera. Giulio non riusciva a capacitarsi di come suo padre potesse fossilizzarsi tutto quel tempo su di una poltrona ad ascoltare i soliti discorsi triti e ritriti, sempre uguali. Era rigore o non era rigore e il fuorigioco e la zona e la marcatura ad uomo e l’espulsione e l’ammonizione e così via per tutta la durata della trasmissione. Oddio, un tempo suo padre, prima che sua madre lo piantasse e se ne andasse di casa per stare assieme a quell’uomo di colore, era una persona molto diversa. Era decisamente più vitale e spesso, addirittura, riusciva ad essere brillante e simpatico. Ma dopo quell’evento si era fossilizzato. Era come se tutta la sua energia vitale se ne fosse andata anche lei da casa, abbandonandolo. Insomma, era rimasto solo un involucro, come se l’essere che si trascinava ancora fra quelle mura fosse solo la crisalide abbandonata di una farfalla.
Appena vide suo figlio accompagnato a quella ragazza cambiò espressione, come da copione. Gloria si mise a ridere, un sorriso bellissimo, contagioso. Il padre era ancora giovane e portava bene i suoi quarantatre anni. Giulio si accorse che negli occhi di Gloria vi era qualche cosa che non riusciva bene ad afferrare, ma che non gli piaceva per niente, e anche negli occhi di suo padre c’era qualche cosa che non avrebbe dovuto esserci. Nei giorni a venire non disse nulla di quella fastidiosa sensazione prodromica di guai a venire, né a lei né a lui, ma gli rimase nello stomaco, indigeribile.
Circa un mese dopo la sera della presentazione Giulio tornò a casa due ore prima da scuola a causa dell’assenza di un professore. Appena entrò nel cortile notò, con sorpresa, l’auto di suo padre parcheggiata. Gli parve strano poiché il padre non gli aveva detto che non sarebbe andato al lavoro. La mattina si era alzato presto, come al solito, e avevano fatto colazione assieme, come sempre. Insomma, si era comportato normalmente, come se dovesse andare in ufficio.
Insospettito girò lentamente la toppa della porta per fare meno rumore possibile. Sentì dei sospiri provenire dalla stanza da letto di suo padre. Un presagio poco piacevole fece capolino nella sua mente mentre si dirigeva deciso, ma silenzioso, verso la stanza. Spalancò la porta di colpo, entrò e vide i corpi nudi di suo padre e Gloria avvinghiati l’uno all’altro. Fu terribile, gli sembrò che il mondo gli cadesse sotto i piedi. Si sentì sprofondare, come risucchiato da una melma pestilenziale che lo abbracciava senza lasciargli il tempo di respirare. Vacillò come colpito da un oggetto pesante sul capo. Uscì da quella stanza rapidamente, ma tutto rimase confuso, sfocato, non c’era più un oggetto al suo posto, tutto danzava vorticosamente, le scale, il lampadario, il mobilio, le poltrone, persino il pavimento non voleva rimanere fermo. Dopo aver lottato qualche secondo con un mondo che aveva preso forme, colori e movimenti inconsueti si lasciò cadere a terra svenuto.
Rinvenne sdraiato sul suo letto, assalito da un’angoscia indicibile. Pensò con che coraggio avevano potuto tradirlo in quel modo. Da suo padre poi non se lo sarebbe mai aspettato, che lurido bastardo che si era dimostrato! Ma gliela avrebbe fatta pagare cara, eccome. Si alzò dal letto furibondo, discese i gradini a due a due con balzi furiosi, fino a giungere in cucina dove Gianni, suo padre, stava mangiando. Gianni appena lo vide entrare cercò di schermirsi e di scusarsi, gli disse che non sapeva cosa gli era successo, che quella ragazza lo aveva circuito, che si era sentito come preso da una forza magnetica a lui ignota e contro la sua volontà si era ritrovato a letto con lei. Non sapeva spiegare, pregava e spergiurava con le lacrime agli occhi che non avrebbe voluto farlo e continuava a ripeterlo come un disco rotto, frammentato di tanto in tanto dal pianto.
Giulio era indemoniato, ad ogni giustificazione del padre s’inferociva sempre di più, era completamente fuori controllo. Cominciò a spingerlo mentre il padre cercava di sfuggirgli per evitare il contatto fisico, inutilmente. Alla fine vennero alle mani. Volarono calci, pugni, schiaffi in un crescendo di violenza e disperazione sempre più esacerbato, fino a che un montante ben assestato del padre non stese per terra il figlio. A quel punto Gianni si voltò e fece per uscire dalla cucina nella speranza che l’increscioso incidente fosse terminato, ma si sbagliava. Giulio appena lo vide di spalle si alzò furibondo e lo spinse violentemente. Gianni perse l’equilibrio e cadde pesantemente sbattendo la tempia contro lo spigolo della madia. Dopo l’impatto alleggiò nella stanza un silenzio pesante come il piombo, a sottolineare la tragedia che si era appena consumata. Giulio capì all’istante, senza nemmeno il bisogno di verificarlo, la gravità di quanto era appena accaduto. Sapeva che suo padre non era più lì con lui, aveva intrapreso un viaggio senza ritorno a corollario di un alterco che non ammetteva una fine diversa da quella.
E venne il giorno del processo. Si ricordava di quell’aula solenne e di tutte quelle persone che lo scrutavano come se fosse stato un animale. Ma soprattutto si ricordava degli occhi di Gloria. Riflettevano una strana luce, malvagia e malefica come quelli di una strega e poi le tremende parole che disse sul suo conto quando le fu chiesto di testimoniare. Erano cariche d’odio verso di lui, un risentimento che non riusciva a comprendere appieno e lo ferirono profondamente, come lame affilatissime.
Venne letta la sentenza, che accolse con indifferenza, un assoluto senso di vuotaggine si era impadronito di lui durante tutto il tempo del processo. Come se in quell’aula non si stessero giudicando le sue azioni ma quelle di una persona a lui estranea. Fu condannato a tre anni di reclusione, subito commutati in arresti domiciliari, visto che i giurati non l’avevano considerato un soggetto socialmente pericoloso. Un successo, secondo il suo avvocato, ma lui si sentiva colpevole e nulla, da quel momento in poi, sarebbe stato come prima. Il temporale lo svegliò di soprassalto, riportandolo istantaneamente alla veglia.
“Accidenti, che temporale! Sembra che stasera le streghe facciano festa sopra il Bricco Spaccato! Ehi amica mia, mi senti? Sei in questa stanza? Fa piacere avere un insetto simpatico e ciarliero come te in queste fredde nottate un poco inquietanti. Accidenti, che buio! Non si vede nulla, deve essere saltata la luce. Aspettami cara, scendo dal letto e vado a prendere una torcia, sei talmente carina che ti vorrei vedere, non ti dispiace vero? Brr… come è freddo il pavimento. Ah che male! Ah mi hai morsicato, brutta bastarda! Che dolore al tallone! Mamma mia, si è gonfiato come un pallone, accidenti, devo raggiungere subito la dispensa nella speranza che questa bestiaccia non mi morsichi ancora. Dove sei, vigliacca! Non c’è luce, mi manca l’aria, mi sento svenire, può essere ovunque quella stronza bastarda! Mi senti? Dimmi che ti ho fatto di male! Ecco, eccomi in dispensa, gli scaffali, dove sono gli scaffali, ma perché è così buio, Cristo! Calmati, calmati, respira piano cerca di non tremare. Non c’è nulla di cui preoccuparsi, è solo uno stramaledettissimo insetto, forza, adesso con calma cerchiamo a tentoni e vedrai che troveremo la torcia in un batter d’occhio. Eccola! Vedi, vedi che con la calma si ottiene tutto? Non c’era bisogno di farsi prendere dal panico.
Click! Ora va meglio, ci voleva proprio, questa luce mi tranquillizza non poco! Il tallone, mannaggia se è gonfio, che male! Dove sei, bella bimba mia? Non ti vorrai mica nascondere adesso, eh? Mi vorrei divertire un pochino anch’io. Dai, fatti vedere, non vorrai mica farti schiacciare involontariamente, no? Ti sei nascosta bene, eh, brutta puttana! Sarà meglio ritornare sul letto, sarà più facile evitare che tu mi colga di nuovo di sorpresa.
Accidenti che incubo, ma che ore sono? Dai, forza sole, che aspetti a sorgere? Per una volta potresti anche alzare la chiappe un po’ prima, no? Ma cos’è questa nenia? Sembra provenire dal Bricco Tagliato. Mi sembra di impazzire, accidenti! Quanti lampi sopra quella maledetta collina, non ho mai visto una cosa simile. E questa musica inquietante che sarà mai?”
Un motivo tetro, ipnotico e ossessivo si diffondeva nella stanza inducendogli stanchezza e spossatezza. Giulio combatté con tutte le sue forze per non sprofondare fra le braccia di Morfeo, ma invano. Nonostante le continue torture alle quali aveva sottoposto dita, guance e palpebre si addormentò come un bambino nella culla.
Sognò una donna che non ricordava di avere mai visto prima. Era completamente nuda, fatta eccezione per un sottilissimo perizoma nero e un paio di calze autoreggenti anch’esse nere. Calzava un paio di scarpe rosse con un vertiginoso tacco a spillo, che slanciavano le sue belle gambe ben tornite. Stava attraversando il ponte romano ubicato nel centro storico del paese, ancheggiando in maniera sensuale e provocatoria. Era una donna decisamente bella sulla quarantina. Aveva due seni enormi e sodi e i suoi capelli castani erano intrecciati a formare una sorta di nido di serpenti sinuosi e lascivi. In mezzo ai seni, quello che a prima vista sembrava un grosso pendaglio non era altro che la scolopendra.
Vide l’insetto che camminava sul corpo di lei in direzione della bocca. La donna si mise a leccare l’insetto lascivamente e a ricoprirlo di baci, nel contempo cominciò a masturbarsi. Dopo aver insalivato per bene l’animale, se lo portò nei pressi della vagina completamente rasata e vide quell’insetto insolente mettersi ad esplorare gli orifizi di lei, che godeva in maniera spudoratamente sguaiata, abbandonandosi a convulsioni orgasmiche. Più la donna si dimenava come una indemoniata e più gli elementi della natura si scatenavano come comandati dal piacere di lei. Lampi, tuoni e pioggia scuotevano l’aria instancabili mentre un forte vento di tramontana faceva volare foglie, polvere e qualsiasi altro oggetto non saldamente ancorato al terreno, producendo una sinfonia di rumori abilmente orchestrati dal suo possente soffio.
Improvvisamente, proprio quando quella puttana era arrivata al culmine del piacere e mentre attorno a lei l’universo intero si prodigava in un baccanale perverso che saturava l’aria di rumori osceni, calò il silenzio. Vide la donna sorridere soddisfatta, poi cambiò espressione e i suoi occhi lo fissarono con odio. Sentì la sua voce rimbombargli nelle orecchie come un eco che non ammetteva repliche.
“Imparerai a caro prezzo, sciocco, a mettermi il bastone fra le ruote. Tu, pusillanime, inetto, hai ucciso l’uomo sul quale da tempo avevo posato i miei occhi. Quanta fatica e quanta magia ho sprecato per convincere sua moglie (tua madre) ad andarsene, a lasciarlo a me, la Barrantana. Ma dimmi, chi credevi che fosse Gloria? Ma come potevi pensare che una donna così affascinante potesse essere veramente interessata ad uno sbarbatello come te? Tu eri solo un mezzo per arrivare a lui. Che tu sia maledetto, ma adesso la mia vendetta sta per compiersi. Ci rivedremo presto all’inferno, bye bye.”
E così dicendo gli inviò un bacio che lo svegliò di soprassalto.
“Dove sei, dove sei, lo so, lo so che mi vuoi uccidere. Animale del demonio vai via VAI VIA! Ma... ma... è giorno! Dio tu sia ringraziato, era solo un sogno, accidenti però se sembrava vero! Certo che sono proprio uno sciocchino che si spaventa con niente! Basta un semplice insetto un po’ antipatico per indurmi tutte queste insulse paure. Sono proprio ancora un ragazzino su questo, quella specie di megera del sogno aveva ragione. Però che bel morso che mi hai dato stanotte, insetto malefico. Cos’era, il bacino della buona notte? Ti ringrazio, ma ne faccio volentieri a meno, capito?”
Si alzò e si diresse verso il bagno con circospezione. “Accidenti che borse agli occhi che ho! Ho dormito malissimo stanotte, mi si legge in faccia. Tutto grazie a te, mia maledettissima amica. Ma adesso, dopo che mi sarò lavato, faremo i conti noi due. Ho tutto il giorno a disposizione per stanarti, contenta? Non sai che bella festicciola ti farò, vedrai sarà indimenticabile.”
Dopo aver ammonito la scolopendra si sciacquò il volto, si rasò e si lavò con cura i denti, poi controllò scrupolosamente allo specchio la dentatura in cerca di eventuali carie. Era un’operazione quotidiana per lui, ossessionato dall’igiene orale. Spalancò per bene la bocca per vedere meglio i molari, posizionando il volto verso la luce in alto. Improvvisamente l’insetto si tuffò dal ripiano superiore del mobile a specchio direttamente dentro alla sua gola.
“Ah bastarda, cosa fai? Vuoi pungermi in gola? Ahh che dolore! Puh… Ah che male, non respiro, sto soffocando, aiuto, aiuto!” Imprecando furiosamente, barcollava nel bagno in preda a spasmi incontrollabili.
“Maledizione, cos’è questa musica? Questi violini sgraziati che suono perverso producono? Sembrano arie immonde e queste chitarre distorte suonano scale impossibili dalle pendenze verticali. Come fanno a produrre suoni così disarmonici? Quale mente malata può aver concepito e composto queste melodie empie di simili dissonanze assurde? Mio Dio, quali blasfemie contengono, il mio cervello non è in grado di ascoltarle, vi prego, vi prego, fermate questo folle direttore d’orchestra dagli occhi iniettati di sangue che divora i cervelli con note carnivore che lacerano la mia mente! Fermatelo, fermatelo per l’amor di Dio!”
Dopo aver urlato come un pazzo a squarciagola per qualche secondo, che a lui parve un’eternità, cadde a terra esangue.
Arrivammo la mattina presto su segnalazione dei vicini di casa che avevano sentito il ragazzo urlare come un ossesso. Preoccupati avevano provato a suonare il campanello e a telefonargli sul cellulare, ma senza ottenere alcuna risposta.
Con l’aiuto dei vigili del fuoco entrammo nell’appartamento e vedemmo il povero ragazzo riverso in bagno, con il pallore tipico della morte a incorniciargli il bel viso. Sul lavandino trovammo delle pasticche di sostanze sintetiche delle quali i giovani abusano senza nemmeno conoscerne la composizione. Spesso anche chi li rifornisce ignora la natura della merce che spaccia. Chi produce questa roba è sempre in cerca di nuovi composti allucinogeni che non possano ancora essere catalogati come droghe e che risultino sostanze legali per avendo effetti totalmente imprevedibili. I ragazzi che le assumono sono delle vere e proprie cavie che pagano per essere tali. E il prezzo, a volte, è la vita stessa come, purtroppo, questo giovane poco più che ventenne ha potuto constatare personalmente.
Adesso immaginavo il nostro caro sadico patologo impegnarsi alacremente con un bel ghigno dipinto sul brutto volto. Il lavoro, quel giorno, non gli sarebbe mancato, anche se la causa del decesso era tragicamente evidente.
Io e il tenente scendemmo in strada a prendere una boccata d’aria, intanto lì non c’era più nulla di interessante da vedere. Mentre attraversavamo il cortile udii una nenia monotona e inquietante provenire da quella collina che la gente chiama Bricco Spaccato. Una melodia che, per qualche motivo recondito, mi procurò un forte disagio e un lungo e insistente brivido attraversò tutto il mio essere, allarmandolo.
Ho ancora la netta sensazione che anche il tenente avesse udito quelle note malate e che, come me, avesse fatto finta di niente. Ci guardammo per un lungo istante negli occhi, poi, come se niente fosse, accelerammo il passo senza voltarci, fuggendo da un’atavica paura della quale avevamo dimenticato il nome e che non volevamo, per nessuna ragione al mondo, ricordare di nuovo.